sabato 18 maggio 2013

In coda per Caronte

Hay muertos que pesan menos que una pluma
y otros che pesan más que las montañas.
Mao




En memoria de los desaparecidos.

www.desaparecidos.org

mercoledì 15 maggio 2013

Il capro


Ero andata in cucina a cercare un ago per la siringa. Non ricordo che cosa fossero quelle iniezioni, so che il dottore gliene faceva tre o quattro al giorno per aiutarlo a superare le crisi. Ricordo l’odore di disinfettante nella camera, nel corridoio, quello di caffè in cucina, la luce incerta del vecchio neon, io che cercavo nel cassetto senza trovare. Da diversi giorni il rituale era il medesimo, preparavo numerose medicine e le allineavo sul comò, sterilizzavo la siringa, la porgevo al dottore che la riempiva, aspirando il liquido trasparente di una fiala, faceva uscire l’aria, imbeveva di alcol un batuffolo di cotone e si avvicinava a lui con la siringa in mano, mimando il gesto della puntura. 
Ero stata con lui in camera, poi, malgrado lo vedessi sofferente, andai in cucina ed ero già con la mente a quando il dottore gli avrebbe fatto ancora una volta l’iniezione e lui sarebbe stato meglio, anche se solo per poco, e tutto questo era come già successo, e il fatto che in realtà io fossi ancora in cucina non significava niente. Cercavo gli aghi e non li trovavo, e non erano al loro posto, e tutta me stessa era nel cercarli senza smanie ma con intensità e determinazione inflessibile, automatica, vivevo in quel momento per trovare un ago affinché il dottore potesse fargli la puntura, e mentre rovistavo nella credenza immaginavo il suo viso sorridere se pure debolmente, i suoi occhi accendersi ancora un poco.
Fu mentre ancora cercavo che morì. Mia figlia mi raggiunse in cucina, e me lo disse nel modo più bestiale che potesse trovare per dirmi la morte di mio marito. Ricordo ciò che mi colpì di più in quel momento, il suo viso suino falsamente contrito, e restai, con gli occhi sull’ago trovato, immobile, terrea, tutto il mio essere in quell’ago, ero quell’ago diventato, in un attimo, completamente inutile, privo di senso, svuotato di significato. Così la mia vita in quel momento – provai il desiderio di strangolarla, ma fu solo un attimo. Non so come, mi ritrovai in camera, mentre ancora cercavo di montare la siringa, e nessuno osava torgliermela di mano.
Più tardi, mentre lo vegliavo, scorgevo la luce che filtrava dalla fessura della porta, e sbirciando potevo vedere mia figlia nel semibuio del corridoio confabulare con il dottore, e non potevo, come avrei potuto sbagliarmi – il mezzo sorriso che aveva sul muso di denti finti, sono certa, era il ghigno della morte che era venuta a prenderlo. Richiusa la porta continuai a vegliarlo a lungo, accarezzandolo talvolta, con in mano ancora la siringa, e non so bene che fine abbia fatto, nessuno più l’ha adoperata, di quelle siringhe di vetro che si facevano bollire nella cassettina metallica per sterilizzarle, cosi che io non potessi mai più mettere sul gas un pentolino senza ricordarmi di quando avevo sterilizzato la siringa e lui era morto lo stesso, senza aspettare la puntura, mentre io già mi ero immaginata il dopo. Mi sentivo derubata, svuotata, deprivata, mutilata di un pezzo del mio corpo. Se n’era andato lui.
Dopo alcuni giorni neppure più mia figlia mi pregava di lasciare la siringa, e so di averla ancora, da qualche parte, forse tra i suoi calzini, ma non allevia la sofferenza, avrei dovuto gettarla nella fossa, con l’anello di matrimonio – il suo, gliel’ho lasciato, stava ancora bene alle sue mani affusolate.
Lui era davanti a me, in penombra, senza rosario fra le mani, senza scarpe, con un vestito da pinguino troppo cresciuto. Non avrei voluto che finisse così. Lo desideravo davvero, ma non avevo la forza di spogliarlo per mettergli addosso qualcosa di meno ridicolo. Povero amore mio, che pena farsi maneggiare da estranei come vecchie valigie, come animali macellati, come sacchi di stracci.
Il caseggiato di fronte appena illuminato sembrava un presepe. Seduta al balcone, aspettavo il mio tempo immobile, querelato in un ago fuori posto.

Paul Castel, Piccole scortesie per gli ospiti (1976) | trad. Anna Genevois

domenica 12 maggio 2013

Ancora Enzo


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
19 | Enzo Jannacci, Sfiorisci bel fiore (1965)


C’è un fiore di campo che è nato in miniera
per soli pochi giorni lo stettero a guardar
Di un pianto suo dolce sfiorì in una sera
a niente le nere mani valsero a salvar
Sfiorisci bel fiore sfiorisci amore mio
che a morir d’amore c’è tempo lo sai

C’è odore di cibo quest’oggi nell’aria
che la pioggia cancella ma presto tornerà
Vi spezzerò il mio pane e starò ad aspettare
la pelle mia nera che mi rinfaccerà
Sfiorisci bel fiore sfiorisci amore mio
che a morir d’amore c’è tempo lo sai


E un dì un bel soldato partiva lontano
fu solo per gioco che lui ti baciò
Piangesti stringendo la fredda sua mano
lui rise con gli altri e il treno via andò
Sfiorisci bel fiore sfiorisci amore mio
che a morir d’amore c’è tempo lo sai


C’è laggiù in un prato una bella dormente

ma neanche un tuo bacio svegliarla potrà
Morì disperata ma il viso è gaudente
chi passa vicino di lei riderà
Sfiorisci bel fiore sfiorisci amore mio
che a morir d’amore c’è tempo lo sai




sabato 11 maggio 2013

Tempus fugit


Bud Powell, pf | Ray Brown, bass | Max Roach, drums
Recorded in 1949 in New York City

martedì 7 maggio 2013

Rinviato a giudizio

Ci sono morti più leggere di una piuma
e morti che pesano come montagne.
Mao




In memoria di
Giorgio Ambrosoli
Carlo Alberto Dalla Chiesa
Mino Pecorelli

e altri

domenica 5 maggio 2013

Stairway to Heaven

Monte Stivo (m. 2054), Rovereto
14 settembre 2012



Se si aprisse il paradiso
amore mio
io non so se ci andrei
perché credo nel bene qui in terra
e aspetto ancora notizie di te
perche credo all’amore qui in terra
e aspetto ancora per te
Ivano Fossati, Cantare a memoria, 2008

sabato 4 maggio 2013

Penelopi


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
18 | Nina Simone, Don’t explain (1964)
          Billie Holiday / Arthur Herzog Jr., 1941

Hush now, don’t explain
Just say you’ll remain
I’m glad that you’re back
don’t explain
Quiet baby, don’t explain
There is nothin’ to gain
Skip that lipstick
Don’t explain
You know that I love you
And what love endures
All my thoughts of you
For I’m so completely yours
Don’t wanna hear folks chatter
’Cause I know you cheat
Right or wrong, don’t matter
When you’re with me, my sweet
Hush now, don’t explain
You’re my joy and pain
My life is yours love
Don’t explain

Othello 1 & 2

Let me speak like yourself, and lay a sentence,
Which, as a grise or step, may help these lovers
Into your favour.
When remedies are past, the griefs are ended
By seeing the worst, which late on hopes depended.
To mourn a mischief that is past and gone
Is the next way to draw new mischief on.
What cannot be preserved when fortune takes
Patience her injury a mockery makes.
The robb’d that smiles steals something from the thief;
He robs himself that spends a bootless grief.
1.3.216-226


O, beware, my lord, of jealousy;
It is the green-eyed monster which doth mock
The meat it feeds on; that cuckold lives in bliss
Who, certain of his fate, loves not his wronger;
But, O, what damned minutes tells he o’er
Who dotes, yet doubts, suspects, yet strongly loves!
3.3.188-193

I don’t want sugar in it


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
17 | Luigi Tenco, Quando (1960)


Quando
il mio amore tornerà da me
nel cielo una stella splenderà
s’è spenta da quando
il mio sogno è svanito
da quando il mio amore fuggì da me

Quando
il mio amore tornerà da me
nel mare una perla nascerà
saranno le lacrime
che ha pianto la stella
nel veder solo e triste il mio cuor

Quando
il mio amore tornerà da me
nell’aria un violino suonerà
la musica dolce
scenderà nel mio cuore
ed il tempo si fermerà
solo quando
il mio amore tornerà da me

giovedì 2 maggio 2013

Le pari


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
16 | Paolo Conte, Parigi (1981)

Lo so, lo so che questo non è cipria, è sorriso
e sì, che non è luce, è solo un attimo di gloria
e riguarda me, che sono qui davanti a te sotto la pioggia
mentre tutto intorno è solamente pioggia e Francia

Chissà cosa possiamo dirci in fondo a questa luce
quali parole, luce di pioggia e luce di conquista
lasciamo fare a questo albergo ormai così vicino
così accogliente, dove va a morir d’amore la gente

Io e te, chissà qualcuno ci avrà pure presentato
e abbiamo usato un taxi più un telefono più una piazza
io e te, scaraventati dall’amore in una stanza
mentre tutto intorno è pioggia, pioggia, pioggia e Francia

Reloaded


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
15 | Paolo Conte, Via con me (1981)

Via, via, vieni via di qui
niente più ti lega a questi luoghi
neanche questi fiori azzurri
via, via, neanche questo tempo grigio
pieno di musiche e di uomini che ti son piaciuti

It’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
good luck my babe
it’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
I dream of you
chips chips, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du

Via, via, vieni via con me
entra in questo amore buio
non perderti per niente al mondo
lo spettacolo d’arte varia di uno innamorato di te

It’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
good luck my babe
it’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
I dream of you
chips chips, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du

Via, via, vieni via con me
entra in questo amore buio pieno di uomini
via, via, entra e fatti un bagno caldo
c’è un accappatoio azzurro, fuori piove un mondo freddo

It’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
good luck my babe
it’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
I dream of you
chips chips, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du

Per una spinoziana pacatezza


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
14 | U2, All I want is You (1988)

You say you want diamonds on a ring of gold
You say you want your story to remain untold
But all the promises we made
From the cradle to the grave
When all I want is you

You say you’ll give me a highway with no one on it
A treasure just to look upon it
All the riches in the night
You say you’ll give me eyes in a world of blindness
A river in a time of dryness
A harbour in the tempest
But all the promises we make
From the cradle to the grave
When all I want is you

You say you want your love to work out right
To last with me through the night
You say you want diamonds on a ring of gold
Your story to remain untold
Your love not to grow cold
All the promises we break
From the cradle to the grave
When all I want is you

Evolution | 2


George Carlin saves the Planet!

Evolution | 1


The Lonely Dodo

Giving up all that | 1

Delitto a cena senza invito

Non ci avrete mai


Mai, come volete voi. Mai, come siete voi. Mai, con la vostra parola che non conta più nulla. Mai, con le vostre promesse timide, scialbe e sempre disattese. Mai, col vostro conformismo. Mai, col vostro conformismo mascherato di anticonformismo.
Mai, con i vostri favori di nascosto e lunghi venti anni. Mai, con il vostro realismo odorante di servilismo. Mai, con il vostro politicismo, chiusi a trattare poltrone. Mai, con le vostre riforme al contrario. Mai, con la vostra pavidità. Mai, con il vostro somigliare a tutti gli altri. Mai, con le vostre ipocrisie. Mai, con la vostra coscienza un tanto al chilo. Mai, con i vostri valori volatili e a buon mercato.
Mai, con i vostri documenti, i vostri congressi, le vostre correnti. Mai, con il vostro pensiero debole. Mai, con la vostra responsabilità, con i vostri governi di salvezza per salvare voi stessi. Mai, con le vostre parole d’ordine svuotate di senso. Mai, con il vostro linguaggio. Mai, con la vostra disonestà intellettuale – e spesso non solo quella.
Mai, con la vostra perdita di memoria. Mai, con le vostre bandiere senza passione.
Mai, con la vostra drammatica mancanza di obiettivi, di veduta, di progresso, di società, di sogno.
Mai, con la vostra mancanza di rispetto. Mai, con la vostra mancanza di coraggio. Mai, con la vostra mancanza di ideali.
Basta così poco, oggi, per essere migliori di voi. Del vostro partito del centrosinistra della destra a cui non crede più nessuno. E a cui sono fiero di non aver mai creduto.


Matteo Pucciarelli
«MicroMega» online del 26 aprile 2013
Leggi su MicroMega

Stanley loves Polly

You have this tremendous advantage of reading something for the first time. You never have this experience again with the story. You have a reaction to it: it’s a kind of falling-in-love reaction. That’s the first thing. Then it becomes almost a matter of code breaking, of breaking the work down into a structure that is truthful, that doesn’t lose the ideas or the content or the feeling of the book. And fitting it all into the much more limited time frame of a movie. As long as you possibly can, you retain your emotional attitude, whatever it was that made you fall in love in the first place. You judge a scene by asking yourself, “Am I still responding to what’s there?” The process is both analytical and emotional. You’re trying to balance calculating analysis against feeling. And it’s almost never a question of, “What does this scene mean?” It’s, “Is this truthful, or does something about it feel false?” It’s, “Is this scene interesting? Will it make me feel the way I felt when I first fell in love with the material?” […] I don’t mistrust sentiment and emotion, no. The question becomes, are you giving them something to make them a little happier, or are you putting in something that is inherently true to the material? Are people behaving the way we all really behave, or are they behaving the way we would like them to behave? I mean, the world is not as it’s presented in Frank Capra films. People love those films – which are beautifully made – but I wouldn’t describe them as a true picture of life. The questions are always, is it true? Is it interesting?

È un enorme vantaggio poter leggere qualcosa per la prima volta. Dopo, non si ha mai più questa impressione. La prima volta si reagisce di fronte alla storia: è un po’ come quando ci si innamora. Questa è la prima cosa; dopo di che è più un fatto di decifrazione: è un tentativo di strutturare l’opera in modo che risulti vera, in modo che non perda le idee, i contenuti, le emozioni che il libro ci dà. Poi bisogna condensare tutto questo in un film della durata più breve possibile. Si deve conservare il più a lungo possibile la propria disposizione emotiva, qualunque cosa sia quella che ci ha fatto innamorare della storia la prima volta. Una scena si giudica domandandosi: “Sto ancora reagendo a quello che c’è dentro?” È un processo allo stesso tempo analitico ed emotivo; si cerca un equilibrio tra analisi ed emozione. Quasi mai ci si chiede: “Che cosa significa questa scena?” Piuttosto ci si domanda: ”È vero questo, o c’è qualcosa che appare falso?” O ancora: “È interessante questa scena? Mi fa sentire come quando mi innamorai la prima volta che lessi la storia?” […] Io non diffido dei sentimenti o delle emozioni. Ma la questione è: diamo al pubblico qualcosa che lo renda un po’ più felice o gli diamo qualcosa che sia fedele alla storia che stiamo raccontando? La gente si comporta veramente così o quello è il modo in cui vorremmo che si comportasse? Voglio dire, il mondo non è quello che vediamo rappresentato nei film di Frank Capra. La gente certo ama quei film – sono fatti benissimo – ma non li definirei un’immagine realistica della vita. La domanda è sempre quella: “È vero? È interessante?”
The Rolling Stone Interview: Stanley Kubrick, by Tim Cahill, «The Rolling Stone», Aug. 27, 1987

Read on ArchivioKubrick.it

martedì 30 aprile 2013

Speakin’ like W.A.


Woody Allen, The Moose (1965)

I shot a moose, once. I was hunting up-state New York, and I shot a moose, and I strap him on to the fender of my car, and I’m driving home along the west side highway, but what I didn’t realize was, that the bullet did not penetrate the moose. It just creased the scalp, knocking him unconscious. And I’m driving through the Holland tunnel – the moose woke up. So I’m driving with a live moose on my fender. The moose is signaling for a turn, y’know. There’s a law in New York state against driving with a conscious moose on your fender, tuesday, thursday and saturday. And I’m very panicky, and then it hits me: some friends of mine are having a costume party. I’ll go, I’ll take the moose, I’ll ditch him at the party. It wouldn’t be my responsibility.
So I drive up to the party and I knock on the door. The moose is next to me. My host comes to the door. I say “Hello. You know the Solomons”. We enter. The moose mingles. Did very well. Scored. Two guys were trying to sell him insurance for an hour and a half. Twelve o’clock comes – they give out prices for the best costume of the night. First price goes to the Burcowiches, a maried couple dressed as a moose. The moose comes in second. The moose is furious. He and the Burcowiches lock antlers in the living room. They knock each other unconscious. Now, I figured, is my chance. I grab the moose, strap him onto my fender, and shoot back to the roads, but – I got the Burcowiches. So I’m driving along with two jewish people on my fender, and there’s a law in New York State… tuesdays, thursdays and especially saturday.
The following morning the Burcowiches wake up in the woods, in a moose suit. Mr. Burcowich is shot, stuffed and mounted – at the New York Athletic Club, and the joke is on them, because it’s restricted.

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Il diritto alla felicità


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
13 | Francesco Guccini, Canzone delle situazioni differenti (1990)

Ancora qui a domandarsi e a far finta di niente
come se il tempo per noi non costasse l’uguale
come se il tempo passato ed il tempo presente
non avessero stessa amarezza di sale
Tu non sai le domande, ma non risponderei
per non strascinare parole in linguaggio d’azzardo
eri bella, lo so, e che bella che sei
dicon tanto un silenzio e uno sguardo
Se ci sono non so cosa sono e se vuoi quel che sono o sarei, quel che sarò domani
non parlare, non dire più niente, se puoi, lascia farlo ai tuoi occhi, alle mani
Non andare… vai, non restare… stai, non parlare… parlami di te

Tu lo sai, io lo so, quanto vanno disperse, trascinate dai giorni come piena di fiume
tante cose sembrate e credute diverse, come un prato coperto a bitume
Rimanere così, annaspare nel niente, custodire i ricordi, carezzare le età
è uno stallo o un rifiuto crudele e incosciente del diritto alla felicità
Se ci sei, cosa sei? cosa pensi e perché? Non lo so, non lo sai, siamo qui o lontani?
Esser tutto, un momento, ma dentro di te, aver tutto, ma non il domani
Non andare… vai, non restare… stai, non parlare… parlami di te

E siamo qui spogli in questa stagione che unisce
tutto ciò che sta fermo, tutto ciò che si muove
non so dire se nasce un periodo o finisce
se dal cielo ora piove o non piove
Pronto a dire “buongiorno”, a rispondere “bene”
a sorridere a “salve”, dire anch’io “come va?”
Non c’è vento stasera, siamo o non siamo assieme?
fuori c’è ancora una città?
Se c’è ancora balliamoci dentro stasera, con gli amici cantiamo una nuova canzone
tanti anni e son qui ad aspettar primavera, tanti anni ed ancora in pallone
Non andare… vai, non restare… stai, non parlare… parlami di te
Non andare… vai, non restare… stai, non parlare… parlami di noi

lunedì 29 aprile 2013

Color me W.W.

Orange & Violet

domenica 28 aprile 2013

Il cuore di Sergio


Quel pomeriggio, al funerale di Sergio, avevo finalmente capito.
Sergio era un alpinista, ed era morto scivolando nella vasca da bagno. Aveva sempre detto a noi compagni, avendo lui in sommo spregio croci e terre consacrate, di lasciarlo lassù, quando, come lui sperava, sarebbe morto sulle sue montagne. Per questo, trafugato il cadavere, complice Mario, lo avevamo fatto cremare e, seduti attorno al tavolino, sul quale svettava l’urna metallica, ci scambiavamo densi silenzi, in attesa dell’idea.
Fu ancora Mario a prender le redini e, spiegata una carta, ne indicò con il mignolo un punto che tutti noi conoscevamo, traguardandolo, con l’occhio strizzato, dal dorso del braccio. Quando, due giorni più tardi, raggiungemmo il canalone, il cuore di Sergio aveva già ripreso a battere, e io cercavo, leggendo i fatidici ultimi due versi di Itaca, di andare a tempo con il palpito immaginato di quel cuore per un attimo intravisto e ora, chissà quanto lontano, nuovamente sprofondato in un petto d’uomo.
Stranamente, in seguito, abbiamo sempre pensato al pomeriggio davanti al tavolino come al vero funerale; portare Sergio al canalone, dimorarvelo e ritornare aveva invece finito per acquistare, ai nostri occhi, la stessa luce tiepida di ogni altra spedizione – perché anche quella volta, come sempre, la meticolosa preparazione e l’immaginazione, che avevano previsto e replicato ogni gesto e pensiero, tutto era stato di gran lunga più intenso prima, specialmente quel pomeriggio. E dei due giorni in montagna non restavano che la fatica, il vento e la leggera cantilena di neve che aveva accompagnato il mio Kavafis, pronunciato così sottovoce.

Fu dopo qualche settimana che incominciai a tormentare Mario, ma lui non voleva sentire ragioni. Eppure era così importante per me conoscere il nome di quell’uomo, né comprendevo la sua riluttanza davanti a una richiesta che ritenevo perlomeno legittima. Si arrese quando minacciai di rivelare al padre di Sergio l’esatto contenuto della cassa che in tanta pompa avevano seguita e poi sepolta, al funerale ufficiale. Due giorni dopo incontrai il cuore di Sergio.

Leggermente scosso dal vagone e dalla giornata, tornavo di sera, distratto dai riflessi sul finestrino. L’altro viaggiatore, in piedi in mezzo allo scompartimento, stava cercando qualcosa nel suo borsone. Chissà se anche lui ha un altro cuore, pensai. La visita a Giulio mi aveva a un tempo deluso e inquietato, e la presenza del cuore di Sergio, ben nascosto da una pesante camicia a scacchi, ma per un attimo palesato dal sussulto di una vena sul collo scarno dell’ospite, mi aveva reso indicibilmente triste.
Non mi spiegavo come non si fosse verificato il minimo rigetto, come due corpi, tanto simili organicamente, potessero avere due vite e due persone tanto diverse. Sergio allegro, veloce di cervello e di parola, sincero, altruista, amante della montagna; Giulio grigio e malato, umorale, taciturno, disinteressato a tutto ciò che non è musica, ogni tanto va al mare ma non gli piace camminare troppo sulla spiaggia, fuma anzi fumava. Certo, era appena stato operato, ma io mi ero immaginato in lui la faccia estasiata del vincitore di lotteria, che pensa a come spendere l’enorme guadagno il più in fretta possibile; invece, stava in un angolo, scuro, e a malapena rispondeva alle mie domande, riconosco, un poco indiscrete e forse importune.

Di quell’incontro avevo provato a dimenticare la pena e la delusione; ma il turbamento, che non mi abbandonava, per il destino del cuore di Sergio mi aveva infine spinto a una pericolosa telefonata. Fu così che trascorsi un intero pomeriggio con la voce di Giulio, e mutai opinione sul suo conto. Il suono delle sue parole, pronunciate lentamente e ben cadenzate, al ritmo di un respiro ancora pesante, aveva cancellato l’immagine dell’uomo grigio nella stonata camicia a scacchi che tanto mi aveva colpito. Il suo ansimare a metronomo, amplificato dall’apparecchio, rendeva i suoi silenzi ben più concreti dei miei discorsi; ma io volevo che fosse lui a parlare, a mostrarsi, a giustificarsi, a rendersi almeno un poco familiare.
Curiosamente, verso la fine della conversazione narrò di sé un episodio che, molto simile, era accaduto anche a Sergio; glielo feci notare divertito, e lui serio replicò — «Sai, Carlo, mi sento come una donna che porta in grembo il suo bambino. Certo, con la differenza che io non potrò partorire, e non me ne separerò mai. So che le mamme stringono i loro piccoli per illudersi di averli ancora dentro di sé – io spesso porto le mani al petto e mi accarezzo, credo, con il medesimo sentimento. Io amo Sergio, e sono felice di quella coincidenza che abbiamo scoperto appartenere a entrambi; ora io porto con me anche la sua storia, sebbene la conosca molto poco. E allo stesso modo amo te, che amavi Sergio, e mi odi per avergli rubato il cuore».
La cornetta mi scivolava dalla mano mentre, inerme, ascoltavo le sue parole. Interrotta la comunicazione, dissi piano, come se Giulio potesse in qualche modo ascoltarmi — «Che ne sai di chi odio e amo? Agli uomini non è concessa l’emozione di sentire qualcuno dentro di sé, se non, in modo del tutto imperfetto, attraverso la sodomia; dici di sentirti gravido del cuore di Sergio, ma che ne sai?». Giulio, credo, non avrebbe saputo rispondere comunque.

Finì così quell’anno funesto; e ne finì un altro, e un altro. Più di due anni dopo quella telefonata ricevetti una lettera di Giulio, dall’Argentina. La busta conteneva anche alcune fotografie che lo ritraevano, in impeccabile tenuta alpinistica, malamente aggrappato a una parete di ghiaccio; la lettera iniziava con «El Chaltén, 23 luglio. Carissimo Carlo,» ma s’interrompeva dopo un paio di frasi di circostanza – sul retro del foglio, una manciata di parole spagnole con la traduzione approssimativa e alcuni appunti di spese in pesos.
Questa volta, per raggiungere Giulio non mi sarebbe bastato il treno; ma così come lui aveva dovuto andare laggiù, anch’io dovevo andare da lui.
Lo rividi molto cambiato, diverso anche rispetto alle fotografie, scattate evidentemente tempo prima – gli occhi ancora più incavati, la barba leggera che rendeva il suo viso evanescente, l’arsura che lo tormentava. Sembrava impossibile che fosse soltanto il nostro secondo incontro, tanto intensamente l’avevo pensato per tutto quel tempo; anche lui mi aveva pensato, disse, e ci abbracciammo.
La Patagonia rendeva tutto così spontaneo, i gesti e le parole; aveva persino insegnato a Giulio un po’ di alpinismo. Ma entrambi sapevamo che era stato il cuore di Sergio ad averci portato laggiù, capovolti nella rincorsa del nostro destino, che sembra sempre precederci e invece ci scorta da dietro, e non ci abbandona mai.

Non ci abbandonò neppure allora, quando una notte mi toccò di farmi morire fra le braccia Giulio, che con gli ultimi respiri si disperava per non aver fatto in tempo a imparare bene a scalare; né, accampati nei pressi del Cerro Norte, potevo sperare di trovare il modo di portar via il cuore di Sergio, perché potesse trovare un nuovo ospite. L’ingiusto balletto era all’epilogo, tutti quei dover essere che ci avevano oppresso, me, Sergio, Giulio e gli altri, improvvisamente mi si rivelavano affatto privi di senso.
Raggiunsi l’estancia più vicina dopo due giorni; deposi Giulio e mi aiutarono a seppellirlo. L’uomo anziano mi porse una vecchia pipa d’ebano, e io tirai una gran boccata, come se avessi voluto respirare tutto quel cielo ignaro. Ci salutammo con gli occhi e m’incamminai, da solo con il mio cuore.

giovedì 25 aprile 2013

Maggie the organ-grinder


In ricordo di Margaret Thatcher
Ken Loach

Margaret Thatcher è stata il primo ministro più controverso e distruttivo dei tempi moderni. La disoccupazione di massa, la chiusura di fabbriche, le comunità distrutte: questa è la sua eredità. Era una combattente e il suo nemico era la classe operaia inglese. Le sue vittorie sono state aiutate dai capi politici corrotti del Partito laburista e di molti sindacati.
Se la Thatcher era la suonatrice di organetto, Blair era la scimmia. Voglio inoltre ricordare l’amicizia tra il dittatore cileno Augusto Pinochet e la Thatcher, la quale ha chiamato Nelson Mandela «terrorista». Come dovremmo onorarla, dunque? Privatizziamo il suo funerale. Lo mettiamo sul mercato e accettiamo l’offerta più economica. È quello che avrebbe voluto.

Festa d’aprile

4.2.1945

Mio caro papà,
per disgraziate circostanze sono caduto prigioniero dei tedeschi.
Quasi sicuramente sarò fucilato.
Sono tranquillo e sereno perché pienamente consapevole d’aver fatto tutto il mio dovere d’italiano e di comunista.
Ho amato sopra a tuto i miei ideali, pienamente cosciente che avrei dovuto tutto dare, anche la vita; e questa mia decisa volontà fa sì che io affronti la morte con la calma dei forti.
Non so che altro dire.
Il mio ultimo abbraccio

Walter

Il mio ultimo saluto a tutti quelli che mi vollero bene.


Walter Fillak, 24 anni, studente, impiccato il 5.2.1945




lunedì 22 aprile 2013

Poesia il mare


È curioso che i tre versi più belli della poesia italiana abbiano a che fare, in qualche modo, con il mare. Sono due endecasillabi e una coppia di settenari: il padre Dante e, quasi negli stessi anni, Manzoni (1821) e Leopardi (1819).

de’ remi facemmo ali al folle volo
Inf. 26.125

E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda
Il cinque maggio, 55-56

e il naufragar m’è dolce in questo mare
L’infinito, 15

sabato 20 aprile 2013

Weimar, Italia – 20.4.2013

giovedì 18 aprile 2013

Vi ricordate quel diciotto aprile



Disciplinatha, Vi ricordate quel 18 aprile

Live a Correggio 1995 (da Materiale resistente di Davide Ferrario)

venerdì 12 aprile 2013

The Great Emo Philips


Once I saw this guy on a bridge about to jump. I said, “Don't do it!” He said, “Nobody loves me. I said, “God loves you. Do you believe in God?
He said, “Yes.
 I said, “Are you a Christian or a Jew? He said, “A Christian. I said, “Me, too! Protestant or Catholic? He said, “Protestant. I said, “Me, too! What franchise? He said, “Baptist. I said, “Me, too! Northern Baptist or Southern Baptist? He said, “Northern Baptist. I said, “Me, too! Northern Conservative Baptist or Northern Liberal Baptist? He said, “Northern Conservative Baptist. I said, “Me, too! Northern Conservative Baptist Great Lakes Region, or Northern Conservative Baptist Eastern Region? He said, “Northern Conservative Baptist Great Lakes Region. I said, “Me, too! Northern Conservative Baptist Great Lakes Region Council of 1879, or Northern Conservative Baptist Great Lakes Region Council of 1912? He said, “Northern Conservative Baptist Great Lakes Region Council of 1912. I said, “Die, heretic! And I pushed him over.


Emo Philips, 1987

domenica 7 aprile 2013

La vertigine della lista | 7


Canzoni d’amore da (non) ascoltare

12 | Billie Holiday, You don’t know what love is (1958)
        Don Raye / Gene De Paul, 1941

You don’t know what love is
Until you’ve learned the meaning of the blues
Until you’ve loved a love you’ve had to lose
You don’t know what love is

You don’t know how lips hurt
Until you’ve kissed and had to pay the cost
Until you’ve flipped your heart and you have lost
You don’t know what love is

Do you know how lost heart feels
At the thought of reminiscing?
And how lips that taste of tears
Lose their taste for kissing

You don’t know how hearts burn
For love that cannot live yet never dies
Until you’ve faced each dawn with sleepless eyes
You don’t know what love is

giovedì 4 aprile 2013

Menselijk

Amsterdam
30 marzo 2013

Poi piovve all’improvviso
sull’Amstel, ti ricordi?
Dicesti qualche cosa
sorridendo
risposi, credo, anch’io
qualche banalità scoprendo
il fascino di un dialogo
tra sordi.

Francesco Guccini, Canzone delle
situazioni differenti
, 1974

Il mio regno per un libro | 3


SUL LIBRO COME
attesa • avventura del pensiero • barca solitaria • budino • bussola/orientamento/disorientamento • contenitore delle ceneri della vita • aiuto nel sopportare la povertà • aiuto nell’affrontare la morte • contenitore di idee capaci di farsi amare • contenitore di una seconda esistenza • dimostrazione di qualcosa di imperfetto • infinita possibilità • libro e tutto il suo contrario • materia vaga: tutto e niente • minimo • moltitudine e ignoranza • necessità • oggetto che l’autore non ha fatto • oggetto che si legge da solo • oggetto di arredamento • pericolo • possesso, bisogno interiore • proprietà • punto fermo mentre il lettore cambia • puttana che dà piacere a pagamento • registro della vita • riproduttore di se stesso • scelta, percorso, vita • sorgente di libri • sostituto d’amore • sostituzione della vita • specchio dell’intelligenza del lettore • specchio mentale • stimolo • suicidio degli occhi • superstite al naufragio dell’autore • surrogato • utilità inutile • vita •
Elis Colombini, editore

Il mio regno per un libro | 2


SULLA SCRITTURA COME
abolizione dell’istante • accumulazione di ciò che non si riesce a vivere • affare personale • allontanamento dalla vita reale • amicizia con il proprio doppio • analisi e ricostruzione delle proprie e altrui rovine • anima e corpo • annullamento di un errore • architettura della mente • artigianato • attività scelta • attività subita • atto d’amore • atto di ferocia nei confronti della pagina • azione del caso sulla visione di ciò che sembra • azione per se stessi • bisogno • cancellazione • cattiveria • cecità • collaborazione • colpa • concentrazione nella scomodità • condanna • conferma di capacità • confessione • confine • conforto davanti al vuoto dell’universo • contatto con i tanti possibili se stessi • coraggio/paura di viaggiare • costruzione di nuovi mondi • cura • cura del vuoto • curiosità • delirio • denudamento • desiderio e attesa di essere pubblicati • destino genetico • dialogo con dio • dimensione parallela • distrazione • educazione • esclusione • esibizione • esorcismo • espressione della tristezza • estensione del corpo • ferita alla quale solo il lettore può dare senso • finzione di immortalità • furto • gesto plateale • grado zero della vita • illusione di durata • imitazione • imposizione • imposizione del proprio nome • infelicità • intellettuale ardente coito • irruzione del divino nella logica • legittima difesa • lettura dell’esistente raccontato attraverso se stessi • liberazione • materializzazione del relativo assoluto • medicina del nulla • menzogna • mestiere • modo differente di raccontare la stessa cosa • modo per lasciare una traccia • morte della voce • narcisismo • narrazione/storicizzazione di tutto • necessità • negazione di ciò che si afferma • nuova coscienza • obbligo di esprimere • obbligo legato alla memoria • occasione per non dire • occultamento di qualcosa da scoprire • ordine e illusione • pensiero e non azione • percorso vago verso qualcosa che verrà • perdita di innocenza • pianto e riso in solitudine • potere creativo • potere naturale non saggezza • pratica • preferenza e non dovere • presa di coscienza • presa di distanza per capire meglio • qualcosa che è in noi • qualcosa di corporale • racconto di come dovrebbe essere il mondo • racconto di come è il mondo • rappresentazione del tutto e del nulla • ricerca • ricerca del senso • ricordo • rielaborazione • rimedio • rimorso • riparo • rischio e lotta con l’impossibile • risposta alla lettura • risveglio • ritardo nei confronti del pensiero • rivelazione • rivelazione/occultamento di se stessi • se fosse vero • se il filo delle parole conducesse a qualcosa • se la vita non bastasse • semina per lasciare qualcosa • sfogo all’instabilità mentale • soddisfazione del desiderio • sollievo • sopravvivenza dell’oblio • sostituzione della memoria • sostituzione della voglia di raccontare a voce • sottrazione • stato di attesa • strumento didattico • strumento per dare fastidio • strumento per inquietare • testimonianza di un malessere • tradimento della parola • trasmissione di ciò che si è letto • verità e falsità • viaggio-volo • vigliaccheria • vittoria sulla morte • vizio solitario • voglia di dar stile al caos • voglia di dire • volontà di dimenticare • volontà di perdersi •
Elis Colombini, editore

Il mio regno per un libro | 1


SULLA LETTURA COME
accumulo • aiuto alla comprensione del mondo • ascolto di altri se stessi • astrazione • casualità • concentrazione • consolazione • contatto con le menti del passato • continuazione della capacità di sognare • definizione di un corpo • dialogo • difesa dal male di scrivere • diletto • entusiasmo • esercizio di memoria • esperienza • fuga • godimento • incertezza • isolamento • lettura • miglior modo per sognare • moltiplicazione • narcosi • necessità fisiologica • occasione • ozio • partecipazione • pausa • possessione di un demone • potere • prova fisica • raccolta di significati tra le righe • rilettura • ripetizione • sapere con o senza reverenza • scelta individuale • scoperta di ciò che lo scrittore ha nascosto • selezione • soluzione di problemi • sostituzione della compagnia • specularità • superamento delle parole • tossicomania • viaggio • visione • visione di se stessi •
Elis Colombini, editore

mercoledì 27 marzo 2013

La vertigine della lista | 6



Canzoni d’amore da non ascoltare mai

11 | Césaria Évora, Ausencia
        Téofilo Chantre / Goran Bregovic

Ausencia, ausencia

Si asa um tivesse
Pa voa na esse distancia
Si um gazela um fosse
Pa corrê sem nem um cansera

Anton ja na bô seio
Um tava ba manchê
E nunca mas ausencia
Ta ser nôs lema

Ma sô na pensamento
Um ta viajà sem medo
Nha liberdade um tê’l
E sô na nha sonho

Na nha sonho miéforte
Um tem bô proteçäo
Um tem sô bô carinho
E bô sorriso

Ai solidäo tô’me
Sima sol sozim na céu
Sô ta brilhà ma ta cegà
Na sê claräo
Sem sabe pa onde lumia
Pa ondê bai
Ai solidäo é um sina

Ausencia, ausencia


*

Assenza, assenza

Se avessi le ali che
fan volar così distante
se fossi una gazzella
che corre e non si stanca

sarei vicino a te
al sorgere del sole
sarebbe questa assenza
solo parola

Ma solo nel pensiero
viaggio senza paura
la libertà per me
un sogno che non dura

e quando il sogno è forte
ti sento qui vicina
l’amore, il tuo respiro
e il tuo sorriso

Mi sento solo
come il sole in alto in cielo
che brilla cieco e io non so
non vedo più
che cosa illumina, dove
dov’è che va
questa mia solitudine

Assenza, assenza


trad. Alessandra Errati, 2013