sabato 18 maggio 2013

In coda per Caronte

Hay muertos que pesan menos que una pluma
y otros che pesan más que las montañas.
Mao




En memoria de los desaparecidos.

www.desaparecidos.org

mercoledì 15 maggio 2013

Il capro


Ero andata in cucina a cercare un ago per la siringa. Non ricordo che cosa fossero quelle iniezioni, so che il dottore gliene faceva tre o quattro al giorno per aiutarlo a superare le crisi. Ricordo l’odore di disinfettante nella camera, nel corridoio, quello di caffè in cucina, la luce incerta del vecchio neon, io che cercavo nel cassetto senza trovare. Da diversi giorni il rituale era il medesimo, preparavo numerose medicine e le allineavo sul comò, sterilizzavo la siringa, la porgevo al dottore che la riempiva, aspirando il liquido trasparente di una fiala, faceva uscire l’aria, imbeveva di alcol un batuffolo di cotone e si avvicinava a lui con la siringa in mano, mimando il gesto della puntura. 
Ero stata con lui in camera, poi, malgrado lo vedessi sofferente, andai in cucina ed ero già con la mente a quando il dottore gli avrebbe fatto ancora una volta l’iniezione e lui sarebbe stato meglio, anche se solo per poco, e tutto questo era come già successo, e il fatto che in realtà io fossi ancora in cucina non significava niente. Cercavo gli aghi e non li trovavo, e non erano al loro posto, e tutta me stessa era nel cercarli senza smanie ma con intensità e determinazione inflessibile, automatica, vivevo in quel momento per trovare un ago affinché il dottore potesse fargli la puntura, e mentre rovistavo nella credenza immaginavo il suo viso sorridere se pure debolmente, i suoi occhi accendersi ancora un poco.
Fu mentre ancora cercavo che morì. Mia figlia mi raggiunse in cucina, e me lo disse nel modo più bestiale che potesse trovare per dirmi la morte di mio marito. Ricordo ciò che mi colpì di più in quel momento, il suo viso suino falsamente contrito, e restai, con gli occhi sull’ago trovato, immobile, terrea, tutto il mio essere in quell’ago, ero quell’ago diventato, in un attimo, completamente inutile, privo di senso, svuotato di significato. Così la mia vita in quel momento – provai il desiderio di strangolarla, ma fu solo un attimo. Non so come, mi ritrovai in camera, mentre ancora cercavo di montare la siringa, e nessuno osava torgliermela di mano.
Più tardi, mentre lo vegliavo, scorgevo la luce che filtrava dalla fessura della porta, e sbirciando potevo vedere mia figlia nel semibuio del corridoio confabulare con il dottore, e non potevo, come avrei potuto sbagliarmi – il mezzo sorriso che aveva sul muso di denti finti, sono certa, era il ghigno della morte che era venuta a prenderlo. Richiusa la porta continuai a vegliarlo a lungo, accarezzandolo talvolta, con in mano ancora la siringa, e non so bene che fine abbia fatto, nessuno più l’ha adoperata, di quelle siringhe di vetro che si facevano bollire nella cassettina metallica per sterilizzarle, cosi che io non potessi mai più mettere sul gas un pentolino senza ricordarmi di quando avevo sterilizzato la siringa e lui era morto lo stesso, senza aspettare la puntura, mentre io già mi ero immaginata il dopo. Mi sentivo derubata, svuotata, deprivata, mutilata di un pezzo del mio corpo. Se n’era andato lui.
Dopo alcuni giorni neppure più mia figlia mi pregava di lasciare la siringa, e so di averla ancora, da qualche parte, forse tra i suoi calzini, ma non allevia la sofferenza, avrei dovuto gettarla nella fossa, con l’anello di matrimonio – il suo, gliel’ho lasciato, stava ancora bene alle sue mani affusolate.
Lui era davanti a me, in penombra, senza rosario fra le mani, senza scarpe, con un vestito da pinguino troppo cresciuto. Non avrei voluto che finisse così. Lo desideravo davvero, ma non avevo la forza di spogliarlo per mettergli addosso qualcosa di meno ridicolo. Povero amore mio, che pena farsi maneggiare da estranei come vecchie valigie, come animali macellati, come sacchi di stracci.
Il caseggiato di fronte appena illuminato sembrava un presepe. Seduta al balcone, aspettavo il mio tempo immobile, querelato in un ago fuori posto.

Paul Castel, Piccole scortesie per gli ospiti (1976) | trad. Anna Genevois

domenica 12 maggio 2013

Ancora Enzo


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
19 | Enzo Jannacci, Sfiorisci bel fiore (1965)


C’è un fiore di campo che è nato in miniera
per soli pochi giorni lo stettero a guardar
Di un pianto suo dolce sfiorì in una sera
a niente le nere mani valsero a salvar
Sfiorisci bel fiore sfiorisci amore mio
che a morir d’amore c’è tempo lo sai

C’è odore di cibo quest’oggi nell’aria
che la pioggia cancella ma presto tornerà
Vi spezzerò il mio pane e starò ad aspettare
la pelle mia nera che mi rinfaccerà
Sfiorisci bel fiore sfiorisci amore mio
che a morir d’amore c’è tempo lo sai


E un dì un bel soldato partiva lontano
fu solo per gioco che lui ti baciò
Piangesti stringendo la fredda sua mano
lui rise con gli altri e il treno via andò
Sfiorisci bel fiore sfiorisci amore mio
che a morir d’amore c’è tempo lo sai


C’è laggiù in un prato una bella dormente

ma neanche un tuo bacio svegliarla potrà
Morì disperata ma il viso è gaudente
chi passa vicino di lei riderà
Sfiorisci bel fiore sfiorisci amore mio
che a morir d’amore c’è tempo lo sai




sabato 11 maggio 2013

Tempus fugit


Bud Powell, pf | Ray Brown, bass | Max Roach, drums
Recorded in 1949 in New York City

martedì 7 maggio 2013

Rinviato a giudizio

Ci sono morti più leggere di una piuma
e morti che pesano come montagne.
Mao




In memoria di
Giorgio Ambrosoli
Carlo Alberto Dalla Chiesa
Mino Pecorelli

e altri

domenica 5 maggio 2013

Stairway to Heaven

Monte Stivo (m. 2054), Rovereto
14 settembre 2012



Se si aprisse il paradiso
amore mio
io non so se ci andrei
perché credo nel bene qui in terra
e aspetto ancora notizie di te
perche credo all’amore qui in terra
e aspetto ancora per te
Ivano Fossati, Cantare a memoria, 2008

sabato 4 maggio 2013

Penelopi


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
18 | Nina Simone, Don’t explain (1964)
          Billie Holiday / Arthur Herzog Jr., 1941

Hush now, don’t explain
Just say you’ll remain
I’m glad that you’re back
don’t explain
Quiet baby, don’t explain
There is nothin’ to gain
Skip that lipstick
Don’t explain
You know that I love you
And what love endures
All my thoughts of you
For I’m so completely yours
Don’t wanna hear folks chatter
’Cause I know you cheat
Right or wrong, don’t matter
When you’re with me, my sweet
Hush now, don’t explain
You’re my joy and pain
My life is yours love
Don’t explain

Othello 1 & 2

Let me speak like yourself, and lay a sentence,
Which, as a grise or step, may help these lovers
Into your favour.
When remedies are past, the griefs are ended
By seeing the worst, which late on hopes depended.
To mourn a mischief that is past and gone
Is the next way to draw new mischief on.
What cannot be preserved when fortune takes
Patience her injury a mockery makes.
The robb’d that smiles steals something from the thief;
He robs himself that spends a bootless grief.
1.3.216-226


O, beware, my lord, of jealousy;
It is the green-eyed monster which doth mock
The meat it feeds on; that cuckold lives in bliss
Who, certain of his fate, loves not his wronger;
But, O, what damned minutes tells he o’er
Who dotes, yet doubts, suspects, yet strongly loves!
3.3.188-193

I don’t want sugar in it


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
17 | Luigi Tenco, Quando (1960)


Quando
il mio amore tornerà da me
nel cielo una stella splenderà
s’è spenta da quando
il mio sogno è svanito
da quando il mio amore fuggì da me

Quando
il mio amore tornerà da me
nel mare una perla nascerà
saranno le lacrime
che ha pianto la stella
nel veder solo e triste il mio cuor

Quando
il mio amore tornerà da me
nell’aria un violino suonerà
la musica dolce
scenderà nel mio cuore
ed il tempo si fermerà
solo quando
il mio amore tornerà da me

giovedì 2 maggio 2013

Le pari


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
16 | Paolo Conte, Parigi (1981)

Lo so, lo so che questo non è cipria, è sorriso
e sì, che non è luce, è solo un attimo di gloria
e riguarda me, che sono qui davanti a te sotto la pioggia
mentre tutto intorno è solamente pioggia e Francia

Chissà cosa possiamo dirci in fondo a questa luce
quali parole, luce di pioggia e luce di conquista
lasciamo fare a questo albergo ormai così vicino
così accogliente, dove va a morir d’amore la gente

Io e te, chissà qualcuno ci avrà pure presentato
e abbiamo usato un taxi più un telefono più una piazza
io e te, scaraventati dall’amore in una stanza
mentre tutto intorno è pioggia, pioggia, pioggia e Francia

Reloaded


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
15 | Paolo Conte, Via con me (1981)

Via, via, vieni via di qui
niente più ti lega a questi luoghi
neanche questi fiori azzurri
via, via, neanche questo tempo grigio
pieno di musiche e di uomini che ti son piaciuti

It’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
good luck my babe
it’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
I dream of you
chips chips, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du

Via, via, vieni via con me
entra in questo amore buio
non perderti per niente al mondo
lo spettacolo d’arte varia di uno innamorato di te

It’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
good luck my babe
it’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
I dream of you
chips chips, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du

Via, via, vieni via con me
entra in questo amore buio pieno di uomini
via, via, entra e fatti un bagno caldo
c’è un accappatoio azzurro, fuori piove un mondo freddo

It’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
good luck my babe
it’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful
I dream of you
chips chips, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du
ci bum ci bum bum, du-du-du-du-du

Per una spinoziana pacatezza


Canzoni d’amore da (non) ascoltare
14 | U2, All I want is You (1988)

You say you want diamonds on a ring of gold
You say you want your story to remain untold
But all the promises we made
From the cradle to the grave
When all I want is you

You say you’ll give me a highway with no one on it
A treasure just to look upon it
All the riches in the night
You say you’ll give me eyes in a world of blindness
A river in a time of dryness
A harbour in the tempest
But all the promises we make
From the cradle to the grave
When all I want is you

You say you want your love to work out right
To last with me through the night
You say you want diamonds on a ring of gold
Your story to remain untold
Your love not to grow cold
All the promises we break
From the cradle to the grave
When all I want is you

Evolution | 2


George Carlin saves the Planet!

Evolution | 1


The Lonely Dodo

Giving up all that | 1

Delitto a cena senza invito

Non ci avrete mai


Mai, come volete voi. Mai, come siete voi. Mai, con la vostra parola che non conta più nulla. Mai, con le vostre promesse timide, scialbe e sempre disattese. Mai, col vostro conformismo. Mai, col vostro conformismo mascherato di anticonformismo.
Mai, con i vostri favori di nascosto e lunghi venti anni. Mai, con il vostro realismo odorante di servilismo. Mai, con il vostro politicismo, chiusi a trattare poltrone. Mai, con le vostre riforme al contrario. Mai, con la vostra pavidità. Mai, con il vostro somigliare a tutti gli altri. Mai, con le vostre ipocrisie. Mai, con la vostra coscienza un tanto al chilo. Mai, con i vostri valori volatili e a buon mercato.
Mai, con i vostri documenti, i vostri congressi, le vostre correnti. Mai, con il vostro pensiero debole. Mai, con la vostra responsabilità, con i vostri governi di salvezza per salvare voi stessi. Mai, con le vostre parole d’ordine svuotate di senso. Mai, con il vostro linguaggio. Mai, con la vostra disonestà intellettuale – e spesso non solo quella.
Mai, con la vostra perdita di memoria. Mai, con le vostre bandiere senza passione.
Mai, con la vostra drammatica mancanza di obiettivi, di veduta, di progresso, di società, di sogno.
Mai, con la vostra mancanza di rispetto. Mai, con la vostra mancanza di coraggio. Mai, con la vostra mancanza di ideali.
Basta così poco, oggi, per essere migliori di voi. Del vostro partito del centrosinistra della destra a cui non crede più nessuno. E a cui sono fiero di non aver mai creduto.


Matteo Pucciarelli
«MicroMega» online del 26 aprile 2013
Leggi su MicroMega

Stanley loves Polly

You have this tremendous advantage of reading something for the first time. You never have this experience again with the story. You have a reaction to it: it’s a kind of falling-in-love reaction. That’s the first thing. Then it becomes almost a matter of code breaking, of breaking the work down into a structure that is truthful, that doesn’t lose the ideas or the content or the feeling of the book. And fitting it all into the much more limited time frame of a movie. As long as you possibly can, you retain your emotional attitude, whatever it was that made you fall in love in the first place. You judge a scene by asking yourself, “Am I still responding to what’s there?” The process is both analytical and emotional. You’re trying to balance calculating analysis against feeling. And it’s almost never a question of, “What does this scene mean?” It’s, “Is this truthful, or does something about it feel false?” It’s, “Is this scene interesting? Will it make me feel the way I felt when I first fell in love with the material?” […] I don’t mistrust sentiment and emotion, no. The question becomes, are you giving them something to make them a little happier, or are you putting in something that is inherently true to the material? Are people behaving the way we all really behave, or are they behaving the way we would like them to behave? I mean, the world is not as it’s presented in Frank Capra films. People love those films – which are beautifully made – but I wouldn’t describe them as a true picture of life. The questions are always, is it true? Is it interesting?

È un enorme vantaggio poter leggere qualcosa per la prima volta. Dopo, non si ha mai più questa impressione. La prima volta si reagisce di fronte alla storia: è un po’ come quando ci si innamora. Questa è la prima cosa; dopo di che è più un fatto di decifrazione: è un tentativo di strutturare l’opera in modo che risulti vera, in modo che non perda le idee, i contenuti, le emozioni che il libro ci dà. Poi bisogna condensare tutto questo in un film della durata più breve possibile. Si deve conservare il più a lungo possibile la propria disposizione emotiva, qualunque cosa sia quella che ci ha fatto innamorare della storia la prima volta. Una scena si giudica domandandosi: “Sto ancora reagendo a quello che c’è dentro?” È un processo allo stesso tempo analitico ed emotivo; si cerca un equilibrio tra analisi ed emozione. Quasi mai ci si chiede: “Che cosa significa questa scena?” Piuttosto ci si domanda: ”È vero questo, o c’è qualcosa che appare falso?” O ancora: “È interessante questa scena? Mi fa sentire come quando mi innamorai la prima volta che lessi la storia?” […] Io non diffido dei sentimenti o delle emozioni. Ma la questione è: diamo al pubblico qualcosa che lo renda un po’ più felice o gli diamo qualcosa che sia fedele alla storia che stiamo raccontando? La gente si comporta veramente così o quello è il modo in cui vorremmo che si comportasse? Voglio dire, il mondo non è quello che vediamo rappresentato nei film di Frank Capra. La gente certo ama quei film – sono fatti benissimo – ma non li definirei un’immagine realistica della vita. La domanda è sempre quella: “È vero? È interessante?”
The Rolling Stone Interview: Stanley Kubrick, by Tim Cahill, «The Rolling Stone», Aug. 27, 1987

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